L’accessibilità nello sport: un problema culturale ancora prima che pratico

La mia esperienza personale in ambito sportivo

L’ardua ma imperdibile sfida di rendere lo sport per tutti accessibile

Lo sport, una risorsa imperdibile per tutti

Lo sport è una risorsa imperdibile per tutti. Al carattere ludico, ricreativo si unisce l’impegno fisico e mentale che porta a misurarsi con se stessi e con gli altri e da qui la sua grande valenza comunicativa, formativa, etica.

Se guardo agli sport praticati nel tempo e al loro ruolo nella mia vita ricordo già all’asilo e alle elementari i pomeriggi a nuoto alla Rari Nantes, sotto lo stadio Franchi di Firenze dove era già un’avventura raggiungere, dopo due scalinate la vasca o fare poi la doccia, ma dove tutto era possibile grazie alla disponibilità degli operatori, oltre alla tenacia di chi mi accompagnava… forse la mia voglia di impegnarmi contro le barriere architettoniche con il mio blog e l’attività che porto avanti è nata già da quelle scalinate dello stadio. Ho praticato poi il tennis al Circolo di Calenzano (Fi), pur abitando vicino al centro città, perché qui l’entusiasmo e la competenza del prof. Erasmo Palma e del suo team me lo hanno permesso e attraverso questa pratica sportiva ho imparato anche ad usare meglio la carrozzina. Per breve tempo ho conosciuto anche la scherma all’Accademia Schermistica di viale Malta (Fi) dove ero solo a praticarla in carrozzina con la sensibilità e l’intelligenza del maestro Nugnes.

A scuola poi, fin dalle elementari ho sempre riscontrato lo sforzo di una inclusione che pur con tante difficoltà,  spesso si è realizzata.

Per anni ho praticato anche lo sci in Trentino con il bi-sci grazie alla “Sport Abili” di Predazzo, una onlus che si occupa di attività sportive per persone disabili in montagna con esperti – fra i quali i militari della Scuola Alpina e i volontari – e così d’estate attraverso di loro ho conosciuto l’handbike che mi ha permesso di affrontare lunghi itinerari in montagna insieme alla mia famiglia e ai miei amici.

La mia passione sportiva però ha trovato soprattutto realizzazione sette, otto anni fa quando ho iniziato a giocare a basket in carrozzina nelle “Volpi Rosse Menarini” di Firenze, dove ho trovato un’organizzazione consolidata: un bellissimo gruppo in cui l’amicizia va oltre il campo di parquet. Qui, finalmente, grazie a un’associazione sportiva ho potuto partecipare al Campionato Italiano Giovanile FIPIC, trovando nello sport di squadra quel fattore cardine di inclusione che mai deve mancare. In questo sport la carrozzina diventa soltanto un attrezzo tecnico di gioco per tutti i partecipanti – cosiddetti normodotati e non.

Se guardo alla mia esperienza concludo che anche nella pratica sportiva per l’accessibilità (termine che dovrebbe riferirsi a tutti) c’è ancora molto da fare. E’ un problema culturale ancor prima che pratico. Oggi la risoluzione di molti problemi (strutture di impianti spesso non accessibili, carenza nei servizi, necessità di ausili, risorse, preparazione adeguata negli operatori) è affidata molto alla volontà di singoli ed associazioni, all’iniziativa privata.

Deve affermarsi un’intenzione e un’attenzione sempre più forte da parte delle pubbliche istituzioni in osservanza del dettato costituzionale. A ciò si arriverà quando finalmente si guarderà alla vulnerabilità non come un’anomalia del singolo, ma come elemento che nel corso della vita può essere comune a tutti, come un motivo di organizzazione sociale, riconoscendo così la normalità delle diversità e tenendone conto non solo a livello teorico e giuridico, ma anche nell’attuazione pratica delle norme per costruire una realtà migliore di quella che viviamo.

L’accessibilità infatti – dico sempre – non è una concessione per i più svantaggiati, ma la condizione necessaria della civiltà giuridica.

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Andrea Mucci

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